CamminiMontagna madre

Guida alle passeggiate nel vento di giugno


Se vi dovesse capitare di camminare in giugno, in una giornata ventosa, tra montagne e colline intorno all’Appennino potrebbe essere opportuno tenere a mente che…
…Che il vento di giugno, in campagna, è una benedizione e trasporta profumi dolci, profondi, forti, narcotizzanti, lievi, tantissimi, molti indecifrabili, come quelli dell’oceano.
Che il vento di giugno è una benedizione rara, prima della quiete e dell’immobilità dell’estate.
Che è un vento di giustizia che condivide profumi altrimenti destinati a pochi, gli ultimi profumi di primavera.
Che è una fatica per le api che si devono tenere strette agli steli e alle corolle dei fiori, ma è un sollievo per il nostro cuore. Che è una fatica per le cornacchie in equilibrio sul cavo del telefono teso tra i pali, ma è anche gentile perché ti porta il suono delle campane degli altri paesi che raramente riesci a sentire.
Che è una piccola magia, perché ti fa vedere le onde in un campo di grano, i chiaroscuri dipinti dalle nuvole che passano veloci davanti al sole sui colori, il giallo il rosso il verde, che s’accendono e si spengono e che, quelli no, non li trovi in nessun oceano, e che a noi gente dell’entroterra riempiono l’anima.

Dunque il vento di giugno è un vento che spolvera la primavera, la fa brillare tra le macchie e i campi coltivati. Tra piccoli boschi e grandi radure che si alternano e che, a pensar bene, sono ancora lì come il segno, l’impronta, di una lotta lunghissima e di un accordo di pace tra l’uomo e la natura tra generazioni di uomini e il mondo vegetale. Un po’ a me e in po’ a te, come sulla tavola della cucina di una vecchia famiglia di contadini, come nei sacrifici lustrali per le purificazioni in onore degli antichi dèi senza volto che sovraintendevano alle nostre vite da queste parti. Come una preghiera muta alla grande madre che in primavera risorgeva dal regno sotterraneo per fare fruttificare la terra e sfamare i suoi figli.

Così, se l’Appennino ha un’anima, e tutti noi ne siamo convinti, quest’anima ha anche un profumo, come pensava Jean Baptiste Grenouille protagonista del romanzo di Peter Süskind.
Così il vento di giugno ci ricorda l’importanza dei profumi delle nostre montagne delle nostre colline, ma non ci spiega a cosa servano. Però se lo chiedi a un’ape certo lo sa, se lo chiedi a un fiore lo sa.
Così, alla nostra umana e limitata percezione, i profumi possono suggerire solo una cosa: che la grande macchina della natura sta funzionando, che i fiori delle ginestre sbocciano, che gli impollinatori arrivano, che la vita si trasmette e che la primavera ripete il suo miracolo ciclico. La grande macchina funziona e il profumo della primavera è il profumo dell’armonia che tutti cerchiamo e che è così sfuggente e volatile, come un profumo appunto.

E mentre stai in piazza, la sera, a prendere il Campari, ti sembra di sentire ancora sulla maglietta l’odore delle ginestre della montagna che vedi lì di fronte al tavolo dove stai seduto. E così, quell’odore, insieme al Campari, insieme a quella montagna sfumata di giallo davanti agli occhi, diventa un cocktail che neanche il miglior barman sarebbe in grado di shakerare. Con quella luce di giugno poi…che ti fa ricordare Virginia Woolf, le sue gite e le sue passeggiate…

…spesso si sorprendeva seduta a guardare, seduta a guardare con il lavoro nelle mani, finché era diventata ciò che stava guardando, per esempio quella luce.

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