Santa Lucia, San Nicola e il sole di Monterivoso
In città si fa fatica a spiegare che la curiosità per il passato non è fuga o nostalgia, ma ricerca di una pietra di paragone sulla quale costruire il presente, riflessione sull’evidenza di una mancanza, ricerca dell’essenza, confronto con la perennità.
Nelle piccole e appartate valli d’Appennino invece tutto è molto più chiaro. Basta un raggio di sole che trafigge una torre e una passeggiata tra la bellezza e la malinconia di chiese ridotte a ruderi e mangiate dai boschi, ma che conservano una loro numinosa luminosità.
Questa, in effetti, è la storia di un incontro fortuito con tre chiese della nostra montagna, nei giorni dell’avvento di un anno apparentemente terribile.
Eppure anche in questo nefasto 2020 San Nicola è venuto prima di Santa Lucia: entrambi hanno portato doni, luce e speranza nella morsa serrata dei tempi oscuri. Entrambi raccolgono, come in una sacra staffetta, i simboli ancestrali dell’approssimarsi del sole di mezzanotte. Sono l’eco della divinità che presiede al ritorno della fiamma, sono la speranza al culmine delle tenebre, in prossimità dei Saturnali, in quei giorni cioè che precedono la nascita del nuovo sole: giorni difficili e gioiosi, nei quali il mondo appare rovesciato e travagliato, ma in attesa di un evento glorioso.
In Valnerina, appena oltre Precetto, uno dei due borghi che formano Ferentillo, famoso per le sue pareti d’arrampicata, superata una stretta via tagliata nella roccia e protetta da un affresco della Vergine dipinta sopra mammelloni di roccia, seguendo a ritroso il corso del torrente Castellone che scende veloce dalle montagne, oltre il varco si scopre una piccola Shangrila umbra. È una valle laterale rispetto a quella del fiume Nera, protetta – nella sua parte iniziale – dalla mole della torre di Monterivoso e dalla guglia di roccia di Monte Sant’Angelo, dimora di dei, eremiti e dell’arcangelo Michele.
Poco oltre, verso il monte Aspra, lo stretto e imponente canyon di Riti è dominato da Castellonalto, borgo compatto e serrato come un pugno. Da lì si osservano di lontano le montagne e il valico dove si trovava l’antico posto di frontiera, la dogana tra lo Stato pontificio e il Regno di Napoli, in località Salto del Cieco. Il paesaggio è com’era e come appare dover essere: in armonia, asprezza ed essenzialità.
Sulla riva destra del torrente, sopra il castello di Monterivoso, lungo il sentiero che sale a Colleolivo e a Monte Sant’Angelo, la vegetazione si sta riprendendo la chiesa di San Nicola de Casarioso. La facciata, tra rovi e rampicanti, si legge appena. Il tetto non c’è più: poche piastrelle in cotto decorate hanno trovato un equilibrio instabile sulle travi di legno marcio. Eppure, lì sotto, sulle pareti, tra le macerie delle tegole gli affreschi del Quattrocento risplendono nel rosso, nell’oro, nel blu, con i santi e le Madonne che sfidano le intemperie e che si beano di poter finalmente guardare il cielo azzurro. Una bellezza donata gratuitamente al viandante, che i rovi sembrano rispettare e che si esalta nei colori dipinti, ancora accesi.
Accesi come le fiaccole di san Nicola che a dicembre infuocano la notte di Bari dove c’è la sua basilica, o i grandi fuochi, i faoni, che qui in Valnerina, negli stessi giorni illuminano la notte della Venuta, indicando agli angeli la direzione di Loreto e dando forza al sole la cui luce sembra perdersi nell’oscurità nelle notti più lunghe.
Sono i giorni del fuoco, d’altronde e scendendo di nuovo verso Monterivoso, anche la torre sopra Sant’Antonio sembra incendiarsi attraversata dal sole calante.
Dall’altra parte sulla riva sinistra del torrente, un sentiero sale verso Monte Carpio. Qui c’era la chiesa di Santa Lucia, la santa della luce festeggiata nel giorno più corto dell’anno. E anche qui la chiesa del XV secolo è parzialmente crollata e ricoperta di rovi, ma se si riesce ad affacciarsi tra le grate, tra gli spini, ti salutano i volti di santi dipinti alle pareti, ormai al buio.
La luce di Lucia sembra dunque ormai persa, ma pochi metri più in là la devozione supportata dalla tradizione e dal genius loci hanno indotto i paesani a ricostruire una piccola cappella moderna dedicata alla santa.
La porta è aperta, il piccolo ambiente sacro è vuoto, ma due lumini ardono sul modesto altare.
Forse non c’è modo migliore che fermarsi un attimo a guardare quei lumi per celebrare il 13 dicembre, per ricordare San Nicola, Santa Lucia e i giorni del sole che rinasce, con i di indigetes che regnarono anche su queste terre, a cominciare da Saturno e Giano.
Su tutto la capacità di accompagnare la bellezza del creato di farsene araldi con delle semplici sottolineature, senza volerci gareggiare. Con umiltà, ma – infine – sentendosi piccola parte di quella stessa luce.