La nostalgia del fuoco e i paesi fantasma d’Appennino
Una volta di un paese non si contavano gli abitanti, ma i fuochi. Ogni fuoco una famiglia, ogni famiglia quattro, cinque, sei persone intorno al focolare. Magari anche di più. Come se quel fuoco rappresentasse lo spirito stesso della famiglia e dei suoi antenati.
Dal punto più alto dello Scoppio, in piedi sulla cima dello scoglio che domina il fosso della Matassa, non si possono più vedere i tetti delle case. Sono tutti crollati, con le loro travi di legno di quercia, i coppi, i comignoli. Si aprono squarci sulle povere stanze, sui camini anneriti, sui focolari, che sono spenti da decenni.
Scoppio, che deriva il suo nome da Scopulus, scoglio, è uno dei tanti paesi abbandonati dell’Appennino, sui Monti Martani, al centro dell’Umbria, in una posizione straordinariamente affascinante, quanto marginale.
I fuochi spenti dei paesi abbandonati sono l’emblema di ciò che è stato messo da parte dall’attuale modello di sviluppo: sono un vuoto, un’assenza, non solo materiale. Rappresentano tutto ciò di sacro che oggi non c’è più, ma del quale avvertiamo un’inconscia e indicibile nostalgia, magari perché – come dice Pietrangelo Buttafuoco – stiamo perdendo l’illusione della ragione.
I fuochi sono spenti, a dimostrare che non ci sono più famiglie che si radunano intorno, che non ci sono più serate di angoscia per la difficoltà del vivere, ma neanche nottate di festa intorno al camino. Che non ci sono più le Pasquarelle e le orazioni notturne per scacciare i demoni, non ci sono più le veglie funebri e le feste di battesimo.
I paesi abbandonati sono diventati paesi fantasma.
Ce ne sono su tutta la dorsale. C’è chi si è preso la briga di censirli e di catalogarli, con grande scrupolo e attenzione. Così i paesi fantasma, regione per regione, sono finiti sul web, grazie al sito www.paesifantasma.it, un grande atlante dei luoghi dimenticati nelle nostre montagne a cura di Fabio Di Bitonto.
Nel catalogo dei paesi fantasma c’è anche Scoppio. Ma è in nutrita e silenziosa compagnia. Ci sono Pesche, in Molise, provincia di Isernia, già definito da Vittorio Emanuele La libreria d’Italia, per le sue case strette, serrate e affastellate come volumi in una biblioteca e Faraone in provincia di Teramo, con un toponimo d’origine longobarda e una storia interrotta negli anni Sessanta del secolo scorso.
E poi ancora Ripamolisani, la bellissima Elcito (vicino Fabriano) sotto la faggeta di Confaito; il paese di Malanotte che poi divenne Buonanotte nell’Alto Sangro e che infine volle cambiare il suo nome in Montebello perché i suoi abitanti si sentivano presi in giro ad essere chiamati quelli della Buonanotte, finché poi di abitanti non ce ne furono più né per la Buonanotte, né per il Montebello.
E poi c’è la disabitata rocca medievale di Umbriano, a difesa dell’Abbazia di San Pietro in Valle, in Valnerina e la vicina Gabbio che prova comunque a rinascere, a differenza dell’alto borgo di Sensati, tra Ceselli e Spoleto, dove il bosco si sta mangiando le case una ad una.
Ma si può percorrere l’intero Appennino dalla Calabria alla Liguria, sulla mappa dei paesi fantasma, da Africo e Brancaleone fino a Brugosecco e Filettino
L’elenco è lunghissimo, suggestivo e commovente, ma lo trovate sul sito web dei paesi fantasma con tutti i particolari di una lunga ricerca.
Il senso è più difficile da individuare. Franco Arminio, poeta-paesologo ci suggerisce che:
“La paesologia è una forma di attenzione a dei luoghi, a dei paesi a cui spesso non danno attenzione nemmeno le persone che ci stanno dentro. Il paesologo tende a interessarsi di tutti i paesi, ma soprattutto del presente e dell’avvenire, appunto con l’idea che questi paesi hanno un avvenire”.
…operazione complessa per i paesi ancora vivi, o per quelli moribondi, figuriamoci per i fantasmi!
Quale può essere allora l’idea di avvenire di un paese fantasma?
Chissà? Forse è bene che i paesi abbandonati rimangano vuoti, che restino un monito. Ma qualcuno li deve vedere, li deve sentire, perché forse così riuscirà a sentire e a vedere il vuoto che si porta dentro.
Bisogna vedere i fuochi spenti per avere nostalgia del fuoco.
E per avere il desiderio di riaccenderlo.
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