Montagna madre

Una leonessa contro i ladri di vento e bellezza

“Certi luoghi/è come se non fossero/appoggiati al mondo/ma conficcati dentro”.

Non so se sotto la morgia di Sant’Angelo si siano mai rifugiati i briganti. Però se fossi stato un brigante ci sarei andato di sicuro. Prima di tutto perché da lì si domina un territorio vasto e c’è acqua in abbondanza. Poi la morgia è attraversata da un’ampia cavità dove nascondersi, se serve. E infine ha una forma straordinaria, sembra una leonessa accovacciata sul fianco della montagna: da lontano incute curiosità e timore. E trasmette forza a chi le sta accanto.

La morgia di Sant’Angelo è una delle tante disseminate nel territorio del Matese beneventano e nell’intero Molise. È un grande affioramento roccioso che sembra chiedere di essere guardato; la Leonessa di Cerreto Sannita, con la sua forma e il suo carattere, si fa guardare più di altre morge, anche se poi i geologi dicono che non è propriamente una morgia, perché non è costituita da un unico strato di calcare, ma questo poco importa.

La Leonessa è alta quasi quaranta metri e come tutte le pietre isolate è un magnete di storie: guerrieri sanniti, magari proprio gli indomabili Pentri, Longobardi, vescovi eremiti, janare, pastori…

Oggi tocca a noi essere attratti da questo luogo speciale. Ci saliamo con un privilegio: ci accompagnano come guide persone che difendono la loro terra con tutta l’energia della quale dispongono, ma che difficilmente definiscono il luogo con un aggettivo possessivo, come fosse una loro proprietà. Sono persone che si tolgono le scarpe per sentire la terra, l’erba, le acque con la pelle dei piedi. Questo li rende sicuramente signori di questi luoghi, mai padroni, quasi come il vecchio Tom Bombadil, personaggio dimenticato de “Il Signore degli Anelli” di Tolkien.

Anche questo luogo ha bisogno di essere difeso: strano per un posto presidiato da una leonessa, no? Succede perché la Leonessa è stata lasciata da sola, mentre questo dovrebbe essere il luogo della comunità, di tutta la comunità, se ancora ci fosse una comunità. E invece è un luogo al quale viene rubata energia. E per rubare qui non bisogna essere briganti, ma semplici ladri…

Chi ha una certa frequentazione con i luoghi speciali d’Appennino, con i luoghi numinosi, non ci metterà molto salendo quassù da Cerreto Sannita a sentire l’aura della Leonessa e la sua sacralità. Lo sguardo spazia dalla grande pietra fino alle montagne al monte Acero, al Taburno, alla valle, ai suoi fiumi, il Calore e il Volturno, verso l’ampiezza dell’orizzonte e del cielo; così, in breve, tutto sembra ruotare intorno a questa roccia. E così, come spesso capita, l’ego diminuisce e si diventa tutt’uno col totem di pietra, col paesaggio, col cielo stesso; non resta che sorridere e essere grati al genius.

E allora? Chi ha rubato a chi? Che cosa è successo? È successo che qualcuno ha sentito la necessità d’intervenire anche quassù, per sottolineare, per spiegare, per normalizzare la specialità di un luogo selvatico che non può essere normalizzata. Hanno costruito viottoli lastricati come in un autogrill, hanno alzato cartelli, hanno cercato di dare una lettura dei simboli dove il simbolo era già evidente e parlante, in un’epoca in cui la spiegazione superflua tende ad annichilire l’intuizione. Qui non ce ne è bisogno, davvero!

Ma soprattutto non c’è alcun bisogno di quelle enormi pale eoliche che sono spuntate alle spalle della Leonessa, quasi la volessero cogliere di soppiatto, come ladri, appunto! Ladri di vento, ladri di meraviglia…
Anche la Leonessa ha avuto a che fare con il vento che insieme all’acqua l’ha scolpita, regalandole un’energia senza uguali, quella della bellezza. Un’energia, una bellezza e un’armonia che non hanno prezzo, che non ricevono finanziamenti speciali, che non fanno speculazione sui mercati finanziari, ma si beano della loro utilissima inutilità.
Così, mentre ci dissetiamo alla fontana ascoltando la voce delle janare nel vento e le voci di tutti i viventi e delle piante che hanno avuto a che fare con questo luogo meraviglioso, cerchiamo di tenere a bada i ladri e forse anche i demoni con i quali hanno dovuto confrontarsi i frequentatori della morgia, fino all’arcangelo Michele caro ai Longobardi: i nostri demoni di oggi sono diversi, oppure sempre gli stessi, chissà: sono la spiegazione contro l’intuizione, la macchina contro la natura.
Ma noi sappiamo già chi vincerà: ce lo sussurra all’orecchio la Leonessa, come una Sibilla, anche se i tempi di una pietra sono inevitabilmente molto più lunghi dei nostri. L’importante però è che ci sia sempre qualcuno capace di ascoltarle e di interrogarle, la Leonessa e la Bellezza…

Certi luoghi/è come se non fossero/appoggiati al mondo/ma conficcati dentro./In una severa beatitudine,/attorno a un prosperoso seno di silenzio/che li nutre.
Non è facile raggiungerli,/si può soltanto essere raggiunti.
È in luoghi come questi/che è ancora possibile sentire/la svagata vicinanza delle cose,/ascoltare confidenze lontane,/partecipare al battesimo dei temporali,/alla comunione delle rose.

Carmine Valentino Mosesso
da “La terza geografia” – NEO. Edizioni (neoedizioni.it)

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