In Lucania si vola e anche gli angeli mangiano peperoni
I Lucani sono gente di terra, ma probabilmente hanno un ottimo rapporto con il volo. Per capire questa strana faccenda bisogna fare un salto sulle loro Dolomiti, tra angeli, peperoni cruschi, alberi maritati e masciare.
Ma andiamo con ordine: Pietrapertosa, innanzitutto. Abbracciata alle stravaganti formazioni d’arenaria battezzate come “piccole Dolomiti lucane”, sembra, in effetti, un paese sospeso tra terra e cielo, indeciso se buttarsi di sotto o decollare.
Pietrapertosa per diventare famosa insieme alla dirimpettaia Castelmezzano, ha dovuto però aspettare qualche migliaio di anni e una bella spinta.
Pelasgi, Greci, Lucani, Saraceni, Bizantini, Longobardi, Normanni, Svevi, Angioini non sono bastati a farla conoscere oltre la Valle del Basento e le dorsali di questo strano Appennino.
C’è voluta un’idea piuttosto eccentrica, riportata a casa dalla Francia. Dal 2007 Pietrapertosa, Castelmezzano e le Dolomiti Lucane sono lo scenario naturale perfetto per il “Volo dell’Angelo”. Qui, con un investimento di circa un milione di euro, è stato realizzato il primo impianto italiano a moto inerziale, il più lungo d’Europa.
In sostanza da Pietrapertosa a Castelmezzano e viceversa, si vola – da soli o in coppia – appesi a un cavo d’acciaio lungo quasi un chilometro e mezzo. Si prova l’ebrezza di tagliare l’aria alla velocità massima di 120 chilometri orari, sospesi a 130 metri sulla valle e tra panorami unici.
Secondo alcuni quest’idea ha dato il via a un modello di sviluppo turistico al quale dovrebbero ispirarsi molti altri paesi d’Appennino. Basti pensare che in 14 anni di voli (circa 15mila l’anno) nei due paesi (mille abitanti l’uno, con un tasso di natalità/mortalità di uno a dieci) sono stati aperti circa 50 Bed and Breakfast, 5 agriturismi, 8 ristoranti.
Eppure non tutti sono contenti: non bastano neanche il ponte tibetano, il percorso parlante delle sette pietre e le ferrate. Si potrebbe volare ancora più in alto. Si potrebbe provare a far restare i turisti più a lungo, a coinvolgere con più convinzione le comunità locali: magari proponendo altri voli…
ALTRI MODI DI VOLARE: LA LEGGEREZZA DEL PEPERONE CRUSCO
Già, perché non è detto che qua si debba venire solo per volare appesi a una fune. Ad esempio si può provare a volare con le gambe sotto al tavolino. A Pietrapertosa e a Castelmezzano, come in quasi tutta la Lucania, lo si può fare appesi a un peperone crusco, cioè croccante, che – per la sua leggerezza – sembra quasi pronto al decollo, come una mongolfiera.
Qual è il miracolo che trasforma un alimento generalmente considerato “pesante”, come il peperone, in una specie di snack, o in un condimento capace di far volare qualsiasi piatto? Il miracolo sta nell’essiccazione dei peperoni, un procedimento lento, antico e spettacolare come le corone di peperoni rossi lasciate al sole ad asciugarsi e a decorare le facciate delle case, colorandole, in molti paesi della Basilicata, a cominciare da Senise, vera patria del peperone crusco.
Il peperone crusco si gusta così, oppure sulla pasta fatta in casa senza uova (i ferretti, i maccheroni), spezzettato, polverizzato, soffritto insieme al pan grattato e alle noci. E questo è un altro bel volo, che trasforma un piatto di recupero della cucina povera e contadina in un missile intergalattico, in un viaggio stellare tra i sapori: dolce e piccante, morbido e croccante. Un volo da accompagnare con l’Aglianico locale e che vi possono ben spiegare in molti ristoranti della zona a cominciare dal Piccolo Ristoro Le rocce, dove il peperone crusco è una faccenda di famiglia.
ALTRI MODI DI VOLARE: APPENDERSI ALLA PUNTA DI UN ALBERO ALTISSIMO E MARITATO
Quella di dondolarsi nel vuoto deve essere proprio una fissazione da queste parti. Così nel giorno della Pentecoste sia qui, a Pietrapertosa, che nella vicina Accettura e in altri sei paesi della zona, senza la necessità di attaccarvi al cavo del volo dell’angelo, potrebbero venirvi lo stesso le vertigini, se assistete alla scalata dell’albero. Che poi è solo la fase finale e spettacolare di un rito antichissimo che attraversa l’intero Appennino, che qui in Lucania è sempre vivo (come in Valnerina d’altronde, ne abbiamo già parlato) e che da solo meriterebbe un viaggio da queste parti. Stiamo parlando del Masc, u Masc, il Maggio, un rito arboreo che affonda le sue radici nel paganesimo e che consiste nel matrimonio tra il re e la regina degli alberi.
…queste celebrazioni sono fedeli ad uno schema presente negli antichissimi riti pagani agrari ed arborei tipici delle popolazioni contadine di molti Paesi europei e mirano a portare nel proprio paese e nella propria casa lo spirito fecondatore della natura, risvegliatosi con la primavera; rappresentano pertanto l’idea di rigenerazione della collettività umana mediante una sua partecipazione attiva alla resurrezione della vegetazione. A questa interpretazione se ne aggiungono altre come quella del significato di libertà e quella del mito popolare dell’albero della cuccagna.
Così alla fine di questo rito, sul tronco del cerro maritato con la punta dell’agrifoglio ed eretto nei paesi, si esibiscono i più ardimentosi: angeli senza fune, ma con un coraggio degno di un cavaliere d’altri tempi e con tanta voglia di farsi ammirare mentre volano. Anche loro…
ALTRI MODI DI VOLARE: DECOLLARE INSIEME ALLE MASCIARE
In altri tempi ci conducono per mano anche le sette pietre parlanti del percorso che unisce via terra Pietrapertosa e Castelmezzano. Ma pure qui si può volare, sulle parole della tradizione e dei ricordi, insieme alle masciare. Perché la storia raccontata dalle pietre che si animano al passaggio è proprio un storia di streghe, masciare, legate forse anche loro ai riti di u masc, il Maggio che poi in fondo in tutta Europa era la notte di Valpurga e delle streghe appunto.
C’è una storia di pietra lunga duemila metri e anche di più.
Mimmo Sammartino
E’ una storia di racconti e di visioni.
Di segni impressi lungo il percorso delle sette pietre.
Dice di quelle donne, le masciare, che si ungevano con l’olio fatato raccolto nella cavità di un albero di ulivo.
Dice di quando attraversavano la notte sulla groppa di cani bianchi.
Dice di Vito, il contadino, e di quando, preso da fattura d’amore, ballava con le streghe.
E volava via sopra le vigne, gli orti e gli acquitrini, sopra le cime modellate dal vento degli Appennini lucani che qui hanno voluto chiamare Dolomiti, senza funi e senza casco. Anche se resta da capire cosa c’entrino le streghe con gli angeli e le Dolomiti con gli Appennini dove crescono e s’arrossano i peperoni e dove tutti vogliono volare.