Angeli e dèmoni in Valserra, i segreti del Rivosecco
Quel che resta non è molto, ma più che sufficiente per intuirne la bellezza e per suggerire l’importanza e la sacralità del luogo.
Mura di calcare bianco e di pietra rosa ben costruite da scalpellini esperti, come quelli che edificarono le chiese romaniche di Spoleto. Una facciata che conserva un bel portale con un’edicola centinata e due mensoloni modanati che forse sorreggevano piccole sculture. Il tetto crollato e la vegetazione che ha invaso l’intero ambiente interno, appoggiandosi ai muri ormai a rischio di crollo.
Non siamo in uno dei tanti borghi dell’Umbria, ma in mezzo alle sue montagne, in una delle aree più affascinanti delle Terre Arnolfe, in Valserra, una valle stretta e serrata come suggerisce il suo toponimo, a lungo contesa tra Spoleto e Terni.
Nella zona di Rivosecco, sopra Colle Giacone, lungo l’antico tracciato che da Acquapalombo e Appecano conduce al pizzo d’Ajano, si trovano i ruderi della chiesa di Sant’Angelo. Un luogo speciale, straordinario e straordinariamente dimenticato, come altri mille sulla dorsale appenninica.
La memoria di luoghi come questo, anche se potente, rischia oggi di perdersi tra i boschi e lungo sentieri ormai ben poco frequentati. Si tratta però, nella maggior parte dei casi, di luoghi contrassegnati da simboli, anche materiali: muri, strutture, segni lasciati quando la sensibilità e la percezione erano diverse.
Così accade in Appennino quasi tutte le volte che t’imbatti in una cappella, in una chiesa, in una pieve dedicata a San Michele Arcangelo. L’Arcangelo che ha sconfitto Lucifero è anche il guardiano della fede cristiana, armato per tenere a bada gli spiriti degli dèi precedenti. Ma così, in qualche modo, li tiene ancora in vita…
I Monti Martani e le Terre Arnolfe non fanno eccezione. Sono state montagne degli dèi, in special modo le loro cime, e il cristianesimo ha faticato più che altrove a penetrarvi. A Torre Maggiore, in particolare, ci sono ancora i resti di uno straordinario tempio italico, frequentato da tempi remoti, magari come un auguracolo, con reperti che ci riconducono al VI secolo a.C. Il tempio venne ampliato in età repubblicana e frequentato anche nelle epoche successive. A questa cima, visibile nel raggio di quasi cento chilometri, i pellegrini salivano da diverse vie montane.
Ognuna di queste vie è presidiata da una chiesa o da una cappella di San Michele, o da un insediamento benedettino, magari poi trasformato in francescano. Una corona di chiese dedicate all’Arcangelo circonda così il santuario, che però – stranamente – è stato rispettato da costruzioni successive, forse perché posto ad un’altitudine eccessiva.
Ecco allora la chiesa di San Michele Arcangelo a Cesi, la piccola e deliziosa chiesetta di San Michele sulla montagna di fronte ad Acquasparta, i San Michele della Valserra, ma anche la cappella benedettina trasformata nella Romita di Portaria.
Ma oggi siamo qui, nel versante di Torre Maggiore che scende verso la Valserra, dove i Longobardi edificarono il castello di Rivosecco, proprio di fronte alla pieve, sopra Colle Giacone, un piccolo insediamento che forse prima era collocato più in alto, ma che conserva anch’esso una chiesa dedicata a San Michele. Ma il Sant’Angelo dei boschi è il più interessante: lo si raggiunge solo salendo un sentiero tra marne, argille e cascatelle, giungendo su questa piccola altura isolata sotto i pizzi gemelli d’Ajano e d’Appecano. Del suo fascino abbiamo già detto, dei suoi segreti non ancora…
Segreti, sì: perché a ben cercare qui si ritrovano le tracce di un insediamento più antico: pietre tagliate probabilmente nel periodo della Roma repubblicana, rocchi di colonna in travertino e altri resti che sono stati trasportati in luoghi vicini, ma prelevati a Sant’Angelo.
Cosa c’era dunque prima dell’Arcangelo? Una villa rustica di epoca romana, un tempio per un precedente culto? Qualcuno immagina un tempio di Marte, tanto è forte la suggestione dei Monti Martani, i monti dedicati al dio protettore delle comunità, delle greggi e dei pastori.
Ma questo segreto, in attesa di indagini archeologiche, resta sepolto, solo sussurrato. Più evidente è il senso del sacro che si avverte in questo luogo ascoltandone il silenzio, sospesi tra angeli e demoni, che forse tanto demoni poi non sono, considerato il sorriso degli dei che ancora s’intravede tra il verde delle cime e l’azzurro del cielo d’inizio primavera.
(Un ringraziamento particolare per le consuete consulenze a Marco Barbarossa, il cercatore di castelli)
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