Piccolo atlante delle repubbliche d’Appennino e d’altre eutopie
Parliamoci chiaro: di repubbliche vere in Appennino ce ne sono solo due. Vi sembrano già troppe? Eppure è così: una la Repubblica Italiana e l’altra è la Repubblica di San Marino!
Poi ci sono le repubbliche e le micronazioni più o meno effimere, più o meno ludiche che sono comparse e scomparse nei secoli sui nostri monti: da distinguere semmai – e non facilmente – tra entità territoriali, stati veri e propri, utopie e eutopie.
Qui parliamo di quelle ancora in uso o delle quali si conserva un ricordo vivo…
D’altra parte la piccola comunità autonoma e autosufficiente ha rappresentato da sempre un archetipo da inseguire e un sogno coltivato dalle genti d’Appennino. Fin dai tempi dei popoli italici, per gli umbri, i sabini e i sanniti, la touta era una sorta di unità territoriale e sociale che definiva allo stesso tempo la città, il suo territorio e la comunità che ci viveva e che si autoamministrava.
Poi ci fu il centralismo di Roma: eppure il particolarismo proprio delle nostre genti resistette anche all’Impero Romano. Così nel Medioevo ecco rispuntare le piccole comunità sotto forma di feudi, Comuni, Signorie e minuscoli stati, per essere poi di nuovo fagocitati dalla Nazione. Fin qui niente di nuovo. Il fatto è che, nascosti tra le montagne, tra le forre d’Appennino e nelle pieghe della storia, alcune comunità autonome hanno resistito e resistono ancora per varie vicissitudini, spesso molto curiose.
La prima, la più longeva e fortunata delle micronazioni montane è sicuramente San Marino, l’unica riconosciuta, la repubblica appenninica per eccellenza, uno degli stati più piccoli e dunque anche più conosciuti nel mondo. Si parla meno spesso del suo monte, il monte Titano che – a tutti gli effetti – è un rilievo montuoso dell’Appennino tosco-romagnolo e che raggiunge un’altitudine di 755 metri sul livello del mare, al quale peraltro è molto vicino. Il Titano è talmente legato alla Repubblica di San Marino da essere spesso utilizzato per riferirsi alla Repubblica stessa: la Repubblica del Titano. Sulle sue cime si trovano le tre rocche della città di San Marino; la prima si chiama Rocca o Guaita, la seconda Cesta o Fratta e la terza Montale.
Ma su San Marino, fiera della sua Libertas, si sa già tutto. Inutile dilungarsi.
Più difficile da individuare e da conoscere è invece l’antica e leggendaria Repubblica di Senarica, immersa nel verde prorompente dei boschi del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, lungo le anse dell’alta valle del fiume Vomano. Senarica è un piccolissimo borgo abruzzese, in provincia di Teramo, costruito su uno spuntone di roccia. Pochi edifici, ma su alcuni c’è ancora la scritta: casa franca, ovvero R. di Senarica, dove R. starebbe per Repubblica…
Pare che la regina Giovanna I D’Angiò concesse a Senarica, insieme a Poggio Umbricchio la possibilità di governarsi, escludendo ogni vassallaggio nei confronti di duchi, conti o marchesi. Tutto questo come ricompensa per il coraggio e la fedeltà dimostrata nel respingere le truppe Viscontee nel 1343.
Così gli abitanti dei due villaggi si considerarono Baroni di loro stessi e proclamarono la Repubblica di Senarica, dove tutti erano nobili, non pagavano le tasse, nominavano da soli i propri magistrati e eleggevano un Doge a capo della Repubblica.
Un doge in Abruzzo? E già, perché sempre secondo una narrazione purtroppo poco supportata da documenti, i senarichesi per organizzare la loro repubblica presero a modello la più importante di quel tempo: la Repubblica di Venezia che concesse alla minuscola repubblica appenninica la propria protezione, definendola addirittura come “serenissima sorella”. In virtù di questa alleanza i senarichesi inviavano a Venezia 12 carlini d’oro annui e, in caso di necessità belliche, anche due soldati. Cosa che sembra essere avvenuta perfino in occasione della battaglia navale di Lepanto. Simbolo della repubblica di Senarica, neanche a dirlo, è un leone che però nulla potette quando nell’800, tramontata la Serenissima, il Regno di Napoli si accorse di questa situazione stravagante e inviò a Senarica i propri esattori sotto scorta armata che sequestrarono il paese…
Ancor più stravagante è la storia della Repubblica di Cospaia. In questo caso ci troviamo nell’alta Valtiberina, nel Comune di San Giustino, esattamente dove corre il montuoso confine tra l’Umbria e la Toscana, ma prima ancora tra lo Stato Pontificio e il Granducato di Toscana.
Fu proprio un errore dei cartografi, nel ‘400, a creare una sorta di terra di nessuno, un piccolo cuscinetto tra i due stati. Errore indotto, a quanto pare, dalla medesima denominazione di due vicini torrenti.
Fatto sta che, appresa la notizia, gli abitanti di Cospaia non esitarono e si autoproclamarono indipendenti. Nel 1484 l’autonomia venne formalmente riconosciuta, nella forma della Repubblica, priva di obblighi tributari con lo Stato Pontificio e con il Granducato di Toscana.
La Repubblica di Cospaia, che si estendeva su appena 330 ettari, divenne così zona franca e le merci che vi transitavano non erano soggette ad alcun dazio. I 250 abitanti fecero tesoro della situazione e ne approfittarono per incrementare la coltivazione del tabacco. Ad ogni modo questa minuscola repubblica appenninica non aveva esercito né carceri. Era governata da un Consiglio degli Anziani e Capi famiglia, che si riuniva nella chiesa dell’Annunziata, sul cui architrave si può ancora leggere l’unica norma scritta del minuscolo Stato, “Perpetua et firma libertas”.
Dopo diversi secoli di esistenza, Cospaia si ridusse però a un ricettacolo di contrabbandieri e nel 1826 tornò in possesso dello Stato della Chiesa.
Destino diverso e ai più sconosciuto quello delle Terre Arnolfe, un gruppo di castelli sugli affascinanti Monti Martani, in Umbria, tra la valle di Terni, Spoleto, Montefalco e Todi, “la cui unità amministrativa, in ricordo di una precedente autonomia politica, venne per molti secoli – dal Mille al principio del Seicento – serbata dal governo ecclesiastico”.
La denominazione del territorio – terra Arnulforum, fu certamente dovuta ad un antico signore dei luoghi, Arnolfo, da cui l’origine del nome familiare di Arnolfi, conti germanici, soggetti al duca di Spoleto. Alla morte di Arnolfo le Terre vennero suddivise in una Contea del Monte e una Contea del Piano. Cesi fu il luogo maggiore del territorio: costituito, come un atto di Alessandro VI vale a determinare, oltre che da Cesi stesso, dai castelli di Porcaria, Macerino, Purzano, Colle del Campo, Massanano, Citerna, Fiorenzola, Scoppi, Folignano, Rapicciano, Palazzo, Aretio, Cordigliano, Magliano, Duellario, Baluino, Sterpero, Appollinaro, Appecano, Acqua Palumbo, Valle Bracchia e da altre terre minori.
Nel 1014 Enrico II, disceso in Italia per essere incoronato imperatore in San Pietro, donò al pontefice Benedetto VIII le Terre Arnolfe. Poi, a poco a poco, il ricordo dell’antica circoscrizione feudale si perdette di nuovo.
Tuttavia in precedenza, nel ‘200, le Terre Arnolfe ebbero un proprio Statuto che – tra l’altro – puniva la superstizione. L’articolo 21 condannava al pagamento di 10 libbre chiunque sottoponeva a fattura un uomo e una donna. Era anche prevista una pena minore, di 100 solidi, per chi sottoponeva a fattura un animale.
Le Terre Arnolfe hanno anche la particolarità di comprendere al loro interno altri due microstati. Il primo si sarebbe chiamato addirittura Normannia ed è un territorio tra Giano dell’Umbria e Castel Ritaldi, un tempo autonomo, che conserva tuttora questo curioso toponimo, secondo alcuni perché venne occupato dai Normanni che ponevano l’assedio al Ducato di Spoleto.
Il secondo microstato, nel territorio delle Terre Arnolfe, rientra nelle categoria delle micronazioni ludiche, si chiama Repubblica di Frigolandia ed è oggi sotto sfratto da parte del Comune di Giano. In realtà si tratta dell’ex colonia estiva posta in prossimità del centro abitato, con un parco di due ettari e tre edifici che ospitano la redazione e il Museo dell’Arte Maivista di Frigidaire, gli alloggi per i soggiorni dei Cittadini di Frigolandia (la Casa degli Oblò e la Casa Rosada), e il “Teatro Naturale di Oklahoma“. Frigolandia, creata dal disegnatore e autore Vincenzo Sparagna, già direttore di Frigidaire, concede passaporti e cittadinanza.
Visto che siamo in tema di utopie, o meglio di eutopie, cioè alla ricerca di luoghi buoni, del benessere, in Appennino non si può omettere di parlare del popolo degli Elfi. Si tratta di una comunità sparsa nell’Appennino pistoiese, nei pressi di Sambuca, nella cosiddetta Valle dei Burroni, con Gran Burrone (immancabile per gli Elfi!) e Piccolo Burrone.
Tutto è nato nel 1980 dall’occupazione di terre e ruderi abbandonati da decenni: un agglomerato composto da quattro piccoli villaggi e da altre quattordici coloniche raggiungibili solo a piedi. Le case non sono allacciate alla rete elettrica, il riscaldamento e la cucina vanno a legna: e in tutto il villaggio non esiste un televisore.
Quel che caratterizza questa micronazione nel cuore delle montagne dell’appennino tosco-emiliano, è una forma di vita comunitaria, un grande rispetto per la natura e un’economia a misura d’uomo.
Anche l’istruzione dei bambini è organizzata con una scuola autogestita. Caratteristica della comunità degli Elfi è la periodica festa dei raccolti. Alla vita della comunità degli Elfi ha di recente dedicato un romanzo Francesco Guccini, insieme a Loriano Macchiavelli: “Tempo da elfi. Romanzo di boschi, lupi e altri misteri”, Giunti 2017
Il viaggio tra le micronazioni e le utopie d’Appennino non finisce qui, come non finisce la voglia di cercare un altrove tra le nostre montagne…