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A caccia di draghi appenninici e di altre creature fantastiche

C’è da diventar matti a correre dietro ai draghi in Appennino: sono davvero tanti, troppi. Sembra che si trovino particolarmente a loro agio nelle cavità e negli antri intorno al cuore di terra delle nostre montagne, tra Umbria, Sabina e Abruzzo, meglio se vicino all’acqua.
Se poi oltre che sulle tracce dei draghi, ti metti anche a dar la caccia ad altri rettili o mezzi rettili più o meno reali, come serpenti, regoli, viverne, tiri, melusine, allora davvero rischi di non venirne più fuori e di essere sopraffatto da questo bestiario di animali fantastici che ti raccontano storie più profonde dei loro stessi antri.

Melusina

Così se passi in Valnerina puoi iniziare questa curiosa ricerca già dai monti dove nasce il Nera e dove gli incantamenti, le fate e le sibille sono di casa. Sui monti azzurri, i Sibillini, negli antri rocciosi le fate diventano serpenti in un batter di ciglia per dimostrare ai cavalieri che il confine tra il paradiso e l’inferno può essere davvero sottile, quasi quanto quello tra razionale e irrazionale.

Poco più in là, dove scorre il veloce fiume Corno, una donna ritta che stringe con la mano sinistra un serpente, somiglia piuttosto a un Rebis. Eppure sta ben a suo agio nel gonfalone di Cascia. Non si tratta però di Santa Rita, ma di una ninfa che – pure lei come la Sibilla – viveva in una caverna di fronte al masso di Rocca Porena e di qui pronunciava vaticini. La ninfa si chiama appunto Porrina e nella mano destra, quella libera dal serpente, tiene tre fiori che secondo alcuni predicono la nascita di Santa Rita, la santa degli impossibili, ma secondo altri sono invece fiori di pollibastro e centofoglie, ricercati dagli alchimisti. E torniamo al Rebis, o al rebus!

La ninfa Porrina, che forse preannunciò Rita, era dunque guaritrice, incantatrice di serpenti, capace di vaticini, pratica di erbe magiche e medicinali: qualità, saperi e poteri corrispondenti quasi esattamente con quelli della dea Angizia, che ha casa e tempio un po’ più a Est, nel sacro bosco di Luco, nella terra dei bellicosi Marsi, in Abruzzo.
Angizia viveva e vaticinava sulle sponde di quello che una volta era il grande lago del Fucino ed aveva un rapporto stretto coi serpenti. Tanto che, ancora oggi, ogni primo maggio, nella vicina Cocullo il santo patrono, avvolto dai serpenti, viene festeggiato con una straordinaria, unica, processione: la processione dei serpari in onore di San Domenico, ma forse anche in ricordo dell’antica dea marsicana.

Ma torniamo in Valnerina e avviciniamoci agli antri dei draghi. La ricerca riprende a Sant’Anatolia di Narco. Chi era questa santa alla quale è dedicato un piccolo borgo lungo il fiume? Si tratta, in effetti, di una santa sauroctona, che uccide un serpente-drago, raffigurato spesso ai suoi piedi. Di lei non si conosce la storia, ma il suo nome riporta all’Oriente, là dove sorge il sole (ἀνατολή: “sorgere del sole”) e – si sa – dopo l’alba gli esseri mostruosi preferiscono scomparire. Intanto a Borgorose in Sabina, nei pressi del Velino, affluente del Nera, a Sant’Anatolia hanno pure dedicato un dolce: naturalmente a forma di serpente!

Il drago di San Felice

Appena sotto il borgo di Anatolia, ecco subito apparire un altro drago che sta per essere ucciso. In effetti da qui in poi la lotta con le bestie mostruose diventa fatidica e incessante. Il drago appare in tutta la sua possanza sulla facciata di pietra dell’isolata, snella ed elegante chiesa romanica di San Felice e Mauro che, con la sua bianchezza, si staglia contro una quinta di boschi di leccio verde cupo, giusto sulla riva del Nera. Qui il drago pare uscire dal bassorilievo oltre che dal suo antro. È un drago con le ali, ma probabilmente viveva in una caverna poco più sotto, lungo il fiume. Ad attirarlo fuori con dei semplicissimi pezzi di pane, come si farebbe con una gallina, è il santo monaco eremita giunto fin qui dalla Siria, Felice. Dopo aver gettato l’esca, stringe forte un’ascia con la quale forse decapiterà l’animale mostruoso. E pensare che proprio sotto il presbiterio di questa strana chiesa c’era un pozzo, che conduceva nei pressi dell’antro del drago e dal quale le donne estraevano con un secchio acque ritenute curative…

Siamo in terre longobarde, nel ducato di Spoleto, la città dove sugli scettri dei re rinvenuti nelle necropoli più arcaiche, sono incise figure di animali fantastici che se non sono draghi, certo molto gli somigliano. E magari proprio a questo immaginario ancestrale i nordici longobardi aggiunsero il proprio, trasformando Odino in un San Michele armato di spada capace di affrontare i draghi sulle montagne più sacre dei loro nuovi territori. Come su quella che domina l’abbazia di San Pietro in Valle e il paese di Ferentillo, una sorta di piramide di roccia sopra la quale, in mezzo a nubi e saette non è difficile immaginare ancora oggi l’epica lotta contro la bestia, di Odino, Thor o Michele.

Prima di giungere alla fine della valle del Nera vale la pena andare a caccia di draghi anche nelle montagne intorno, in Sabina, ad esempio. Dove il principale cacciatore di draghi è San Silvestro, ovvero papa Silvestro che abitava sul Soratte, montagna magica e isolata tra l’Appennino e la capitale, le cui cavità erano frequentate dagli Hirpi sorani, i lupi di Sorano. Silvestro deve la sua fama alla conversione dell’imperatore Costantino. Ma è anche un uccisore di draghi, capace di piombare con un balzo negli antri di tutte le montagne della Sabina, dal Tancia, dove libera dalla bestia la grotta dove i Sabini adoravano la dea Vacuna, alla falesia di Morro Reatino dove si annidava un altro drago.

Sul monte che prese il suo nome, sopra il piccolo borgo di Fornole di Amelia, Silvestro scova poi un ennesimo antro, con vista sul Soratte, e anche qui il drago viene sconfitto, tanto che il papa sauroctono si merita l’edificazione di una chiesa a lui dedicata sulla cima del colle, tra fitti boschi di lecci a pochi metri dalla grotta.

Il drago di san Silvestro di Fornole

Silvestro non può infine tralasciare la città capoluogo della Valnerina, Terni. Qui, all’interno di una delle chiese più antiche, quella di San Tommaso, il santo del Soratte venne raffigurato mentre schiaccia la testa al drago e lo ammansisce col segno della croce. Di questo bel bassorilievo resta purtroppo solo una foto realizzata da Federico Zeri dopo la Seconda Guerra Mondiale. Silvestro e il drago sono stati rubati.
Ma a Terni, l’antica Interamna, i draghi non mancano di certo. Il mito fondante di questa città tra le acque è infatti legato all’uccisione di un drago d’acqua che la infestava e che probabilmente, con il suo fetore ne ammorbava l’aria.
Un drago è infatti raffigurato nel gonfalone di questa città, rosso come il fuoco che sputa dalle fauci e verde come le sue squame. Draghi e serpenti d’acqua sono incisi, stampati o affrescati un po’ ovunque e di recente, una statua del Quattrocento raffigurante il drago acquatico Thyrus, senz’ali e con le fauci spalancate, è stata posizionata ben in evidenza nella corte interna dell’antico palazzo che ospita il municipio. Quasi una sfida alla città a confrontarsi con le sue energie più profonde.   

Il Thyrus di Terni

Cosa resta dunque del mito di tutti questi draghi, degli esseri mostruosi, dei serpenti che attorniavano le Grandi Madri e le profetesse, ma anche dei più familiari regoli che frequentavano l’immaginario del nostro mondo rurale e che era meglio non incontrare e soprattutto non guardare negli occhi per evitare l’incantamento?

Erano essi animali a guardia di tesori, esseri demoniaci, la personificazione stessa del male, dei culti precristiani, oppure semplici trasposizioni della lotta degli uomini contro gli impaludamenti e per le bonifiche?

Difficile dirlo: resta l’esortazione a non considerare la mitologia come una semplice favola, ma a indagare piuttosto un significato profondo che riguardi la realizzazione della natura umana, la ricerca del proprio sé che – come dice Mario Polia – giace nelle profondità della terra, o della psiche come un seme, magari custodito da un drago, che prima o poi occorre affrontare.
Forse ci si riesce meglio dopo un viaggio tra i draghi d’Appennino.

Rebis

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