Un decreto legge per il ver sacrum e il reddito di ritornanza
All’alba della storia i popoli italici si prendevano gli spazi selvatici degli Appennini, scoprendo dalle vette e dai valichi nuovi orizzonti e possibilità. Così facendo iniziavano a dar vita a quel paesaggio fatto di nomi, toponimi, borghi, sentieri, tratturi, strade, templi e chiese, miti, dei e santi, riti, storie, leggende, sangue, fatica, comunanza, bellezza e umanità, che è giunto fino a noi.
A guidarli era l’istinto di sopravvivenza del loro ethnos, ma anche il senso del sacro che avvertivano nella terra sotto i loro piedi, nel cielo sopra le loro teste e dentro le loro anime.
Era un mondo animato, in effetti quello che Sabini, Umbri, Piceni, Sanniti, Irpini, Marsi, Osci, Bruzi, Lucani e tanti altri popoli fratelli percorrevano fino a trovare il loro luogo. Per secoli a fare da battistrada a questa espansione verso le terre nuove sono stati i giovani. Associazioni di giovani, istituzionalizzate tra gli italici, come la verehia juventus, che si tramandarono fino al mondo romano, ma che traevano origine dagli arcaici riti del ver sacrum.
Il ver sacrum era la primavera sacra, un istituto italico che aveva la funzione di rigenerazione mistica, affidata alla più giovane classe d’età di ogni popolo, ovunque consacrata al dio italico per eccellenza: Marte “guida provvidenziale, attraverso le sue teofanie animali, per le plaghe appenniniche d’Italia” (Renato Del Ponte, Dei e miti italici, Ecig 1998).
Così per generazioni, ad ogni primavera, i popoli sab-saf si radunavano in luoghi fatali, come il lago di Cotilia, ombelico d’Italia e degli Appennini. Di lì gruppi di giovani si votavano al viaggio, ad essere avanguardie, a espandere il proprio ethnos, seguendo riti e animali sacri, il lupo, il toro, il picchio, e si dirigevano, come pionieri verso una sorta di far west italico, a popolarlo e animarlo, a farlo fiorire come si conviene ad ogni azione che nasce in primavera.
Quelle primavere sacre, che appartengono all’alba dei tempi, sono poi diventate estati, autunni e hanno dato i loro frutti. Ora però l’Appennino è di nuovo piombato nell’inverno della desolazione e dell’abbandono,
Che sia dunque venuto il tempo di un nuovo ver sacrum?
Non abbiamo luoghi fatali e fatati dai quali partire, non abbiamo più il senso del sacro, la verehia e le associazioni giovanili sono spesso votate ad altri interessi. Si potrebbe dire anzi che l’Erasmus abbia sostituito il ver sacrum e che la dispersione della gioventù non sia più indirizzata alla salvaguardia dell’ethnos e delle differenze, quanto piuttosto ad assecondare la diffusione del mito globalizzante e totalizzante.
Il ver sacrum degli italici faceva leva sulla speranza di una vita migliore, sull’avventura, sulla sfida e sulla cerca della risposta che ognuno portava nel sé più profondo e sacro.
Un ver sacrum attuale, deve fare i conti con la razionalità di questo nostro mondo, ma anche con la sua disperazione. Può comunque partire dalla necessità (o dal target, come si usa dire nella neo-lingua) di ripopolare terre abbandonate, dal fascino che tuttora esse esercitano entrando in contatto con dimensioni dimenticate, ma presenti in ognuno di noi, anche nei giovani. E potrebbe ripartire anche da più prosaiche quanto necessarie e realistiche considerazioni sulle opportunità economiche che queste terre, in modo insospettabile, possono rappresentare, in una fase così confusa della apparentemente incontrovertibile dottrina della crescita e del progressismo.
Ci vorrebbe dunque un ver sacrum in forma di decreto legge, o meglio di testo unico per il ripopolamento delle terre marginali dell’Italia profonda, Un corpo di leggi, ben più efficace dei tentativi finora fatti per il rilancio delle aree interne. Molto più radicale nella consapevolezza che l’alternativa al reddito di cittadinanza, potrebbe essere una sorta di reddito di ritornanza, per chi, sotto una certa fascia d’età si prenda sulle spalle il coraggio, che il nostro Paese non ha più, di tornare a far vivere le terre dalle quali tutto è iniziato e sulle quali è possibile ancora ritrovare quel che resta della nostra anima e forse anche qualche possibilità di costruire una diversa economia, che possa essere esempio per il mondo intero, come lo è stata la cultura dei nostri popoli italici e appenninici.
Con la benedizione di Marte, dio guerriero appenninico, protettore delle pacifiche attività agricole e pastorali.
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