Il Soratte, la grande nave degli dei
Ci sono monti altissimi, monti meravigliosi, monti pietrosi e monti noiosi. Poi ci sono le montagne magiche d’Appennino. Quelle dove guardare e non vedere è un crimine contro la fantasia, quanto il non saper ascoltare.
Le montagne magiche parlano con bocche di roccia e lingue di neve. Sussurrano col fruscio delle foglie le parole difficili e preziose di Fauno e Silvano. Sibilano dalle grotte con il caldo e umido soffio dal ventre terragno, l’eco di pericolose e salvifiche sibille infere.
Le montagne magiche sono attraversate da sentieri tridimensionali, molto esposti, dove fatichi a tenerti in equilibrio sul sottile cammino del presente, con i piedi sulla terra e sulle pietre levigate del passato, con la testa nel cielo e tra le nuvole del futuro.
Sei sul Soratte, che riflette di nivei bagliori (Vides ut alta stet nive candidum) ti chiama il dispater, gli risponde Apollo, i lupi irpi che si sfamano, ladri, pirati, incursori, col sacrificio del dio e si fanno sacri essi stessi contaminando uomini-luperci.
San Silvestro, che non è quello dei veglioni, ma veglia sulla cima di questo monte magico, monta sulla sua mula alata e in tre balzi piomba davanti al lebbroso Costantino che battezza, salva e converte (Ma come Costantin chiese Silvestro d’entro Siratti a guerir de la lebbre…).
Sant’Oreste, poco più sotto, saluta da lontano i fratelli Sant’Erasmo e San Pancrazio, con i quali si è spartito le cime di altre montagne magiche: il non distante monte di Calvi, dove – guarda caso – Pancrazio stesso è salito pure lui con tre balzi in sella al suo cavallo alato, e il monte Eolo, la montagna di Cesi, sopra Terni, dove svettano templi misteriosi e si celano misteri sotterranei, con gallerie per regine e guerrieri nelle viscere carsiche.
Un filotto di monti magici che collega Roma e l’Appennino, come le greggi che battevano il percorso inverso, quello dei Sabini/Safini, popoli sementi della civiltà romana.
Siamo tra febbraio, il mese della Candelora e della purificazione, dei lupercali e degli irpi sorani, oltre che degli amori valentiniani, e marzo, martius, il mese di Marte, dio della guerra e dei raccolti primaverili, dio dell’inizio della primavere e del ver sacrum, della semina dei popoli, dio dei monti Martani cari a Sant’Erasmo, detto anche Elmo, quello dei fuochi magici, salvifici come i gemelli.
Tra febbraio e marzo siamo a bordo della grande nave Soratte, sulla sua tolda ad avvistare mondi passati, presenti e futuri, insieme a sogni e sibille, imperi che nascono e che muoiono, che rinascono e che appassiscono. Tra eremiti santi che guariscono imperatori pagani e imperatori che si fanno eremiti. Grotte, cime e radure che diventano templi e templi che diventano chiese e abbazie. Epifanie del sacro, di quando il mondo non era uno soltanto, ma molti mondi tutt’insieme.
Come in realtà accade ancora nel sentiero tridimensionale che percorri su questa grande nave tra gli Appennini e i colli eterni di Roma, con il passato, il futuro e il presente che si fondono e rifondano la nuova e antichissima triade divina, la grande triade dell’alba dei popoli, la trinità che si è fatta cristiana, col suo mistero che neanche il mondo moderno riesce a risolvere. Ma che riconosce ancora, a stento, a volte, tra le nuvole cupe, nel crepuscolo. Sulla cima dei monti magici d’Appennino.
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