La forza del piantamaggio
Perché si fa? Perché si è sempre fatto! Non c’è nulla di più profondo delle radici di un albero senza radici. L’albero del maggio, l’albero del piantamaggio, usanza arcaica ancora oggi ripetuta e vissuta ogni 30 aprile da Preci a Ancarano in tutta la Val Castoriana, valle affluente della Valnerina, che la collega con il mondo dei Sibillini. Valle ferita, ma non a morte, dal sisma del 2016. Valle incantata, che dopo quella maledetta sgroppata della terra ha perso, per ora, i suoi gioielli: gli equilibri di pietra dell’abbazia di Sant’Eutizio, culla del monachesimo occidentale, i merletti scolpiti nel doppio rosone di San Salvatore, i leggiadri archi del portico pensile di Sant’Andrea a Campi vecchia che incorniciavano uno dei paesaggi più dolci dell’Appennino centrale. Sbriciolati, ma ben saldi nella memoria dei suoi abitanti resistenti, quelli di Campi in particolare, che con la loro determinazione, il piglio e il cipiglio, hanno ingannato la paura e evitato la “deportazione” sulla costa. Che continuano a piantare il maggio, ogni 30 di aprile, verso sera. Se lo vanno a rubare, com’è tradizione, perché si è sempre fatto così. Magari ora ci vanno con la quattroperquattro e il trattore. Ma sono tutti lì, bambini seriosi e adulti eccitati. Chi sceglie il pioppo più bello, il più alto? C’è il derby con Ancarano da giocare. E poi la scelta, la critica, le imprecazioni, l’ascia, la motosega, il tonfo. Il maggio è abbattuto, ma pronto a risorgere eretto in questa pasqua ritardata e pagana, tra Flora, Dioniso, Liber Pater, Cristo e allusioni falliche. Sul maggio trascinato, scortecciato, bianco e purificato si fa l’innesto: in cima si fissa un alberello di ciliegio selvatico, con un’esplosione di fiori.
La forza che attraverso il càlamo sospinge il fiore
E’ quella che sospinge la mia verde età;
Quella che spacca le radici agli alberi
E’ la mia distruttrice
dice in versi Dylan Thomas.
La forza della primavera che distrugge, spacca e fa rinascere.
“Piantamo il maggio perché s’è sempre fatto così“, dice l’anziano gagliardo e tosto.
“Però certo che qui mo’ sarebbe meglio da pianta’ una casa“.
E se potesse, se regole bizantine non glielo impedissero, la casa nuova la pianterebbe davvero con le sue mani ruvide, per vederla crescere, più forte del maggio e del terremoto.
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