Montagna madre

Cuore di terra

Facciamo sempre più fatica a sentirci in un luogo, a individuarlo come il nostro luogo. Viviamo piuttosto in non luoghi, come diceva Marc Augé, utilizzando delle non cose come dice il filosofo Byung-chul Han, (“Non abitiamo piú la terra e il cielo, bensì Google Earth e il Cloud. Il mondo si fa sempre più inafferrabile, nuvoloso e spettrale”). Viviamo in luoghi virtuali e inquietanti, quelli della rete, appunto. Eppure siamo figli della terra, della terra greve e del cielo stellato. Abbiamo, o dovremmo avere sempre i piedi per terra per poterci misurare con il cielo. E anche per surfare sulla rete.

Per Carl Schmitt il nomos della terra ha governato il mondo per un tempo molto lungo e la fedeltà alla terra ha segnato generazioni di uomini. Ad esso sono succeduti il nomos del mare e ora forse è il tempo di quelli dell’aria e del fuoco, che spiegano il cammino dell’umanità e anche i suoi inciampi. La legge del mare ha portato alle talassocrazie, ai grandi imperi, all’imperialismo transcontinentale, fino alla globalizzazione. Il nomos dell’aria si sviluppa velocemente, insieme a quello del fuoco, del presunto dominio dei cieli, ma anche delle energie (compresa quella atomica) e dell’etere.

Di fronte a questo scenario apocalittico, o almeno di fronte a questa ubris sfrontata che non prelude a nulla di buono, cosa possiamo fare?

Chiediamocelo per primi noi, italiani, seduti (o in piedi) su questa piccola striscia di terra in mezzo al Mare Mediterraneo, lungo le coste di questa catena montuosa, su questo cuore di terra, l’Appennino, dove i popoli più antichi, gli aborigeni e gli italici, onoravano il nomos della terra. Il nomos della terra in mezzo al mare. Sì perché l’Italia è un’isola/non isola, è propaggine di un continente immenso, cuore di terra e di montagne. E questi non sono monti naviganti, come li ha definiti poeticamente Paolo Rumiz. Queste montagne sono colossi ben piantati, con radici di fuoco che ogni tanto li strattonano.
Noi eravamo sopra di loro, quasi a cavalcarli, e ci siamo nutriti della loro terra e delle loro energie. Ne abbiamo sfamato le nostre pance, quelle dei nostri animali e perfino le nostre anime. Poi ne siamo scesi. E abbiamo scoperto di essere anche un popolo di naviganti. Ma prima ancora, prima che Roma diventasse una potenza mediterranea, prima che i mari intorno a questa striscia di terra diventassero il Mare Nostrum, prima degli esploratori, prima dei Colombo e dei Vespucci, siamo stati un popolo di terra, italici e appenninici, come dice Giovanni Lindo Ferretti. Barbarici perfino, di sicuro rudi e duri se non puri e duri, come i Sabini e gli Umbri, come i Sanniti, come i Marrucini, i Peligni, gli Irpini, genti che sentivano la terra sotto i loro piedi e la qual cosa non gli impediva di guardare al cielo e di percepire insieme il Nume e il senso del limite, il finito e l’infinito, il presente e la perennità.

Non siamo più così, ma lo siamo stati. Non siamo più in quei luoghi, ma ci siamo stati. Ne conserviamo una memoria genetica e ancestrale, sebbene spesso inconsapevole. E quei luoghi sono lì, appena sopra le antenne paraboliche, sopra i ripetitori telefonici, sopra i capannoni dei centri commerciali e sopra a tutti gli altri non luoghi che ci soffocano.

Non possiamo farli saltare in aria, non possiamo bruciarli questi non luoghi. Ma abbiamo un termine di paragone, con i luoghi ancora miracolosamente intatti, proprio lì sopra. Possiamo allora provare a rimettere i piedi per terra e a togliere i polpastrelli dalle tastiere e gli occhi dagli schermi, lasciare i non luoghi infidi della rete per incamminarci in una faggeta. Cosa pensate ci potrà succedere? Incontreremo un troll? Può darsi, ma magari sarà un vero troll! O magari incontreremo Persefone/Proserpina che, con o senza il permesso di Ade, ci racconterà il suo segreto. Un segreto che l’AI non conosce ancora.

O fortunatos nimium, sua si bona norint,
agricolas! Quibus ipsa procul discordibus armis
fundit humo facilem victum iustissima tellus.

Oh troppo fortunati, se conoscono i propri vantaggi,
agricoltori! Per loro spontaneamente, lontano dalle armi discordi
effonde al suolo facile sostentamento giustissima la terra.
Virgilio

Cfr.
Iustissima Tellus – Carl Schmitt e la resistenza filosofica alla talassocrazia – AAVV – Edizioni Arktos 2024
Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale di Byung-Chul Han – Einaudi 2022

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